Perché sia chiaro: in realtà la data del 3 gennaio 1954, come quella radiofonica del 6 ottobre 1924 che festeggeremo a tempo dovuto, sono due convenzioni. Perché rappresentano l’inizio ufficiale del servizio regolare delle trasmissioni, precedute – soprattutto la televisione – da una lunga fase sperimentale interrotta dalla guerra e piena di dimostrazioni nelle fiere campionarie. In quella giornata storica c’era già un’icona del tubo catodico: Mike Bongiorno, che da Roma, insieme con Armando Pizzo, presentava un programma pomeridiano di interviste dal titolo “Arrivi e partenze”. Il palinsesto quel giorno, oltre alle inaugurazioni dei vari centri di produzione prevedeva un film, “Le miserie di monsù Travet”, una trasmissione musicale presentata da Febo Conti che sarebbe poi diventato famoso tra i ragazzi per il gioco “Chissà chi lo sa”, dirette sportive, la commedia “L’Osteria della posta”, recitata ovviamente in diretta, oltre al Telegiornale e alla Domenica Sportiva che esisteva da alcuni mesi, tanto da meritarsi tuttora, come dice Massimo De Luca, la palma della trasmissione giornalistica più anziana della televisione italiana.
Ma chi fece il primo annuncio? Un documentario di Ugo Zatterin nel 1964 attribuiva la primogenitura a Fulvia Colombo, in onda da Milano. Ricostruzione sempre contestata da Nicoletta Orsomando, che lavorava a Roma, nel minuscolo unico studio allestito alla Casa del Soldato, in via Asiago di fronte al Palazzo della Radio, e ce ne parlò 19 anni fa. Ci disse che a Roma c’era il governo e che quindi tutte le autorità fecero a gara per tagliare nastri. Quindi il primo annuncio, secondo il racconto della grande decana delle annunciatrici italiane, sarebbe stato suo, con tutto un lungo elenco di nomi da leggere. Fulvia Colombo, successivamente, da Milano, avrebbe letto invece l’elenco dei programmi. Una ricostruzione plausibile anche se manca evidentemente la controprova.
Mike e la DS dunque già presenti in quel 3 gennaio 1954. I volti che sarebbero apparsi spesso in quegli anni erano quelli di Enzo Tortora, Renato Tagliani, Silvio Noto, Corrado c’era ma veniva tenuto in una sorta di “limbo radiofonico” dal direttore dei programmi televisivi Sergio Pugliese, e poi progressivamente arrivarono Vittorio Gassman che ruppe quel “veto alla televisione” di molti grandi personaggi che preferivano il teatro oppure la radio, Mario Riva, beniamino del Musichiere, prima grande trasmissione in onda da Roma, firmata da Garinei e Giovannini, dal 1957 anno di nascita del centro di produzione di via Teulada, dopo che Milano e Torino avevano praticamente gestito la fase iniziale della tv.
E poi, tra lo Studio Uno e il Teatro Delle Vittorie in via Col di Lana, quindi in poche centinaia di metri di distanza, si dipanavano gli spettacoli di Falqui e Sacerdote con Mina, Lelio Luttazzi, Rita Pavone, le Gemelle Kessler, direttori d’orchestra differenti ma fondamentali come Gorni Kramer e Bruno Canfora, trasmissioni come Canzonissima, abbinate a una lotteria nazionale, dispensavano milioni consegnando al successo, forse più dello stesso Festival di Sanremo, i cantanti più bravi e più noti della scena italiana di quegli anni, da Morandi, a Ranieri, a Modugno, passando per Patty Pravo, Claudio Villa, Nicola Di Bari, Peppino Di Capri, Fred Bongusto, Iva Zanicchi, Orietta Berti, Nada fino a Mia Martini soltanto per citarne alcuni.
Intanto il piccolo schermo produceva altri personaggi di grande caratura come Pippo Baudo, Raffaella Carrà, Loretta Goggi, il dissacrante Raimondo Vianello prima con Ugo Tognazzi e poi con Sandra Mondaini portando nel piccolo schermo le liti di coppia quotidiane, facendo diventare Sandra & Raimondo il prototipo di qualsiasi coppia italiana che si riconosceva anche nelle situazioni estremizzate. Non va dimenticata la rivoluzione lanciata da Renzo Arbore che abbandonata la sua iniziale timidezza grazie anche al sodale radiofonico Gianni Boncompagni, si è lanciato in avventure televisive memorabili come Quelli della notte e Indietro tutta, con comune denominatore un fenomenale Nino Frassica, che poi in Don Matteo con Terence Hill ha avuto modo di dimostrare anche la sua capacità attoriale.
Un altro capitolo interessante è proprio quello degli sceneggiati, gli antenati delle fiction registrati però negli studi televisivi, che divennero una caratteristica della televisione italiana. Bravissimi attori di teatro si convinsero dopo molte resistenze a lavorare per “quella scatola”. Tra i primi ci fu Ubaldo Lay, che poi rimase imprigionato dall’impermeabile bianco del Tenente Sheridan, un po’ il rischio che decenni dopo corre un attore di pari bravura come Luca Zingaretti con il ruolo del Commissario Montalbano. Fu bravo a non restare imprigionato nel personaggio del dottor Manson un altro attore importante, Alberto Lupo, grazie alla sua capacità di condurre programmi anche di varietà e quindi di rimettersi in gioco costantemente, come dimostrò la famosa Parole, parole, parole che, duettata con Mina, fu la sigla di chiusura di Teatro 10, che condussero insieme con grande successo.
Nella giovane iniziale redazione del telegiornale che aveva come caporedattore Vittorio Veltroni c’erano già Bruno Ambrosi e Tito Stagno, Piero Angela corrispondente da Parigi, mentre gli speaker erano Riccardo Paladini da Roma e Alfredo Danti da Milano, dopo che il primo anchor man era stato Furio Caccia. Vittorio Mangili, Elio Sparano erano cronisti che avremmo imparato a conoscere ed apprezzare, così come Gigi Marsico e Mario Pogliotti, due “compagni di banco” di Piero Angela a Torino nella trafila che li portò al giornalismo televisivo. In quel gruppo c’erano Furio Colombo, Gianni Vattimo, persino Umberto Eco per un breve periodo.
Primo telecronista sportivo era Carlo Bacarelli, inizialmente responsabile dello sport per la televisione ma poi “superato” nel ruolo da altri giornalisti, e rimasto comunque alla guida del TGR Sport regionale della Lombardia, sulla Rete Tre dalla nascita di essa nel 1979 fino alla pensione negli anni Ottanta.
Oltre alle annunciatrici, sulle quali anche noi abbiamo scritto moltissimo, sono tre le donne che si possono considerare autentiche pioniere della televisione: Elda Lanza, Enza Sampò e Bianca Maria Piccinino che pur essendo biologa fu costretta ad occuparsi di moda ma poi divenne conduttrice del telegiornale anche se non ebbe mai l’onore dell’edizione serale come la sua collega Angela Buttiglione. Quest’ultima, come anche Gabriella Martino, arrivò grazie al corso del 1968 per radiotelecronisti, guidato da due fuoriclasse come Luca Di Schiena e Paolo Valenti, che “battezzò” tutta la generazione dei conduttori e dei principali giornalisti del Tg dei decenni chiave, quelli che si trovarono anche a gestire la riforma, con la divisione in reti e testate ed una concorrenza interna che valorizzava le professionalità, ma si dimostrò alla lunga una visione miope, quella ovviamente della politica che miope qui in Italia lo è stata spesso, perché vedeva la pagliuzza, cioè la Rai, e non la trave, cioè l’espansione dell’emittenza privata, non in termini quantitativi ma con la trasformazione nazionale dovuta ai network di Silvio Berlusconi.
La generazione dei giornalisti televisivi degli anni Settanta-Ottanta, guidata senza dubbio da Paolo Frajese, Bruno Vespa, Massimo Valentini, Mario Pastore, Italo Moretti e da un Emilio Fede ancora con uno stile-Rai, fu il brodo di coltura da cui nacque quella successiva, quella dei Mentana, Gruber, Lasorella, Cucuzza, Ferrario, Badaloni, Sposini, Mannoni, alcuni provenienti dall’emittenza privata ma che certo con quei modelli non potevano che compiere un enorme salto di qualità.
Sarebbe lungo elencare le firme che la televisione ha reso note negli anni, a cominciare dallo stesso Enzo Biagi che nel 1960 fu direttore del Telegiornale, il primo chiamato nella lunga era del fanfaniano Ettore Bernabei, illuminato padre-padrone della tv per un quindicennio, anche se si trovò a cacciare Enzo Tortora e Dario Fo. Fu con Bernabei che il Telegiornale diventò giornalistico anche nella conduzione, prima alle 13.30 sotto la direzione di Fabiano Fabiani nel 1968 con Piero Angela e Andrea Barbato primi conduttori, e poi anche la sera dal 1970, quando era subentrato da un anno Villy De Luca. Prima si alternavano i famosi speaker: Luigi Carrai, Marco Raviart, Edilio Tarantino e – principalmente sul Secondo che nacque nel 1961 – Gianni Rossi e successivamente Alberto Lori e Giuseppe D’Amore. Poi arrivarono Citterich, Telmon, Pastore, Pasquarelli, Mastrostefano, sempre Tito Stagno, dalla radio Lello Bersani, per lo sport Maurizio Barendson che già si vedeva alle 13.30, e davvero nulla fu più come prima.
La televisione portò nelle nostre case le immagini dal mondo, prima grazie ai filmati che arrivavano in sede in aereo o treno, poi con i collegamenti via cavo e via satellite, l’Eurovisione, la Mondovisione. Imparammo a conoscere alcuni corrispondenti che ci raccontarono quei paesi: su tutti, da New York anzi Nuova York, Ruggero Orlando che per il suo modo di porsi e di gesticolare era diventato un vero personaggio televisivo tanto da meritarsi l’imitazione di Alighiero Noschese che prendeva di mira proprio i giornalisti del Tg, oltre ai cantanti e ai politici, con testi di Dino Verde spesso massacrati dalla censura.
A Milano c’era il Telegiornale Sport, dove Danti si alternava in video con alcuni colleghi, Gino Capponi, Mario Malagamba e Renato Brasili, per un breve periodo anche Bruno Talamonti che poi divenne bravissimo giornalista sempre nella sede di Corso Sempione. Piccola curiosità: a Milano, solo Danti in quegli anni riuscì ad avere la qualifica di speaker televisivo, mentre gli altri arrivati dopo, pur andando regolarmente in video, rimasero annunciatori radiofonici, scontando evidentemente proprio il fatto di non fare la tv a tempo pieno. Ma anche lì, dal 1972 in video ci andarono i giornalisti. Che poi erano: Bruno Pizzul, Guido Oddo, Ennio Vitanza, Adone Carapezzi, Carlo Sassi che nel frattempo stava diventando l’uomo della moviola alla Domenica Sportiva, alternandosi in video proprio con Pizzul.
La televisione italiana significa anche tante persone che non si vedono pur avendola fatta: registi, tecnici, cameramen, fonici, macchinisti, montatori prima in pellicola e poi elettronici, scenografi, costumisti, truccatori, sarti, senza i quali sarebbe impossibile andare in onda anche per i personaggi più noti. C’erano registi diventati notissimi perché la loro stessa regia diventava una firma, com’erano sicuramente nei varietà Antonello Falqui e Vito Molinari, senza dimenticare Eros Macchi e Romolo Siena, negli sceneggiati Mario Landi e Sandro Bolchi, molti altri invece erano registi meno visibili ma alle prese con trasmissioni sempre più complesse come telegiornali o dirette di avvenimenti, sportivi e non: Giuseppe Sibilla, Enzo De Pasquale, Osvaldo Prandoni che con poche telecamere portava a casa dirette di avvenimenti sportivi, e molti altri dai nomi meno noti ma altrettanto fondamentali per la televisione.
Anche le previsioni del tempo erano un appuntamento iconico della televisione italiana, grazie al colonnello Edmondo Bernacca, che praticamente inventò in Italia la meteorologia adattata alla televisione. Poi negli anni fu affiancato da Mario Pennacchi, Andrea Baroni e quindi arrivò Guido Caroselli. Furono gli apripista di un mondo che oggi si avvale molto di più dei satelliti geostazionari ma anche di un sensazionalismo che non apparteneva alla cifra di questi pacati ma gradevolissimi meteorologi dell’Aeronautica Militare, i cui eredi sono sicuramente i vari Sottocorona, Morico, Laurenzi, Guidi.
Un grande ruolo lo ebbero anche gli autori: Amurri, Verde, Terzoli, Zapponi, Vaime, Scarnicci, Tarabusi, e tanti altri i cui nomi abbiamo letto nei titoli di testa dei programmi. Alcuni confezionavano il copione ad hoc, altri interagivano con conduttori che a loro volta erano autori, come Corrado-Corima, come Baudo anche se raramente firmava il suo fondamentale contributo un po’ come in tempi più recenti è avvenuto per Fabrizio Frizzi e succede per Amadeus, mentre Carlo Conti anche nella locandina, rivendica il ruolo di capo autore.
Ci sono molte omissioni, ovviamente, perché 70 anni sono tanti. Oggi l’offerta televisiva, tra pubblico e privato, è aumentata. Ci sono conduttori come Conti, Amadeus, Carlucci, Clerici, Liorni, Scotti nel versante privato che hanno saputo imparare ed ereditare la lezione dei grandi, come stile, eleganza, ironia, classe. Volti come Mara Venier sulla Rai e Maria De Filippi su Mediaset cui i telespettatori si sono affezionati. Figure rassicuranti e professionali come Michele Mirabella.
La televisione si è dovuta sempre confrontare con uno snobismo di fondo da parte della critica, anche ai tempi in cui i programmi erano di spessore culturale, spesso con la collaborazione di grandi saggisti e intellettuali pensando per esempio all’ Approdo, o alfabetizzava l’Italia, grazie a maestri-comunicatori del calibro di Alberto Manzi. Un retaggio che progressivamente ci si porta dietro anche oggi. Non tutta la televisione è spazzatura, anche se c’è da dire che ciò che ci restituiscono le Teche, in termini di spessore e di eleganza, spesso è da solo una sentenza nel confronto con molta televisione attuale.
La moltiplicazione spesso diventa anche deterioramento, perché con numeri più ridotti la selezione è maggiore ed il controllo più facile. Lo stile Rai però in alcune produzioni e nell’orgoglio delle maestranze sopravvive. Ettore Bernabei, quando incontrava i giornalisti o gli annunciatori neoassunti, ricordava sempre: “Qui voi non rappresentate voi stessi. Qui voi rappresentate la Rai”. Quell’ammonimento, forse, in qualche meandro di Viale Mazzini 14 o in Corso Sempione 27 per quello che durerà ancora, riesce ad aleggiare sia pure sempre più tenue. Anche di fronte ai cambiamenti epocali della comunicazione. E allora, tanti auguri TV!
Davide Camera