Che cosa significa, in televisione, ringiovanire la propria immagine? Vuol dire anche rinunciare a certi codici legati all’abbigliamento che esistono da sempre nel rispetto dei telespettatori? La riflessione nasce osservando il nuovo look dei conduttori e telecronisti di Rai Sport: siccome tre indizi fanno una prova, e come indizi in questo caso ce ne sono molti di più, si evince che la nuova direzione consigli di non indossare la cravatta. Assistiamo così a mise talvolta originali, qualche volta eleganti, in altri casi di dubbio stile.
La maggior parte dei conduttori e dei telecronisti in video va in onda con la giacca, magari con la pochette nel taschino tanto per dare un tocco di raffinatezza, e la camicia aperta. Un bottone, talvolta due, con la sgradevole controindicazione che talvolta si vede il petto sudato, con un effetto non piacevole per i telespettatori. La cravatta, specialmente in estate, aveva anche la funzione di evitare un problema estetico di questo tipo nel caldo degli studi.
Qualche conduttore può permettersi anche da un punto di vista estetico la maglietta sotto la giacca: dà un tocco “fashion”, ma bisogna avere il fisico per poterlo fare. Solo in un paio di casi il risultato eccellente è assicurato.
Occorre dire che poi esistono i contesti: pensiamo a un grande telecronista del passato come Adriano De Zan. In studio, quando conduceva la Domenica Sportiva, era impeccabile in giacca e cravatta, mentre in esterna spesso era in maniche di camicia, ma sempre elegantissimo nello stile. Appunto, occorre avere stile e classe in ogni caso, ma il punto non è solo questo.
Probabilmente il nuovo look è figlio dell’operazione di restyling e ringiovanimento tentata dalla nuova direzione della testata sportiva Rai, che utilizza anche maggiormente le divise ufficiali nelle esterne. Divise che poco hanno del caro, vecchio e credo efficace giubbino, ma qualche volta ricordano anche nello stile più quelle di un’azienda di trasporto pubblico, di una compagnia aerea oppure di qualche squadra di calcio, dove però la cravatta invece è presente ed anche appositamente disegnata.
C’è da dire che l’eliminazione della cravatta in tv ha un precedente illustre nei primi anni di Sportitalia: in quella gestione ed in quel tipo di nuova emittente privata, l’idea una ventina di anni fa aveva un senso, quello di “svecchiare” l’immagine dello sport, aiutati anche dal look sbarazzino di qualche conduttrice. Ma nel caso di un’emittente pubblica, l’idea lascia perplessi, specie se è quella di strizzare l’occhio alle giovani generazioni.
Anche perché in realtà, sembra che ci sia una controtendenza sotto questo profilo. Giorni fa mi sono stupito nel vedere madre e figlia concorrenti a una puntata dei “Soliti ignoti”: ebbene, la madre, che avrà avuto sì e no cinquant’anni, aveva dei capelli “fantasiosi” con le mèches bianche ed un mega tatuaggio che copriva le spalle. Il look della figlia appena maggiorenne era invece molto più sobrio, con un normale vestito a fiori e nessun tatuaggio almeno visibile, certo non sulle spalle o sulle braccia. E allora, non è che sui “gggiovani” qualche cinquantenne oggi prenda un abbaglio pensando a se stesso?
Giacca e cravatta in studio sono sempre stati un punto fermo della televisione di Stato (e anche di Mediaset e Sky), con l’idea del rispetto dovuto al telespettatore dal momento che si entra praticamente nella sua casa.
Su questo aspetto, che continuo a ritenere rilevante, manifesta una scarsa sensibilità perfino un forte critico dei programmi sportivi Rai come Aldo Grasso, probabilmente perché lui stesso preferisce intervenire in video senza cravatta, ma i suoi contesti sono differenti rispetto a un telegiornale o a un appuntamento ufficiale molto seguito. Di fronte a un’obiezione legittima, ossia che Tito Stagno non sarebbe mai andato in onda senza cravatta, ha tirato nuovamente fuori la storia dell’annuncio anticipato dell’allunaggio, mettendo sullo stesso piano due situazioni totalmente diverse: l’errore in diretta, che ci sta e che comunque nel caso specifico Stagno spiegò anche in modo esauriente, e l’immagine decorosa dovuta al telespettatore. Pensiamo anche che in fondo, se non ci fosse stata la cravatta “di ordinanza”, non sarebbero potute uscire gustose parodie come quella di Felice Caccamo. A proposito…
Un altro aspetto che mi lascia perplesso è l’eccessivo utilizzo nei programmi e nei notiziari di Rai Sport della realtà virtuale, o “aumentata”, cioè metà reale e metà virtuale. Non si vede che cosa dia in più il far “apparire” in studio l’atleta che invece si trova a poca distanza in una sorta di cabina e la cui immagine viene sovrapposta, magari per necessità rovesciata come allo specchio. La pratica dell’ospite presente virtualmente è iniziata con il Processo alla Tappa. Tra l’altro, non sarebbe meglio chiamarlo con un nome differente, dato che è un’ottima trasmissione, ma molto diversa rispetto a quella che inventò Zavoli e che in tempi più recenti fece Claudio Ferretti?
Anche nell’utilizzo nel telegiornale la realtà virtuale dovrebbe comunque essere studiata nei minimi dettagli, ripensando a quel grande esperimento riuscito che nel lontano 1974 la Rai fece con il Telegiornale della Sera nello studio 12 di via Teulada. I giornalisti conduttori avevano alle spalle un grande pannello azzurro uniforme, ma il regista faceva magicamente apparire una scenografia con tanto di schermo per i collegamenti. Era una miniatura studiata alla perfezione, lo schermo era in realtà un monitor, e la scenografia si trovava dietro il pannello, ripresa da un’altra telecamera. L’effetto era spettacolare perfino a livello prospettico, anche perché c’era molta attenzione alle ombre ed ai riflessi. Ripeto: quasi mezzo secolo fa.
Recentemente mi è capitato di vedere uno studio virtuale di tg con il conduttore in piedi su una plancia lucida che riflette gli schermi alle sue spalle, ma non la sua figura. Più che virtuale, in questo modo diventa irreale. E mi fa specie pensando che in genere la televisione oggi utilizza sempre meno il virtuale nei notiziari e nelle trasmissioni in diretta, prediligendo scenografie spesso “costruite” da luci colorate ed immagini che appaiono su immensi vidiwall o ledwall.
Insomma: i rinnovamenti di immagine spesso sono importanti, ma non dovrebbero cambiare prassi consolidate, altrimenti rischiano di spiazzare il telespettatore. Inoltre mi viene sempre da pensare al giornalista che si cambia per andare in video, scegliendo la giacca giusta, abbinando la pochette e indossando, deliberatamente, la camicia aperta o una maglietta fricchettona… e chi lo dice a Marinella, per esempio, che la cravatta non è più “fashion”?
Davide Camera
PS: A scanso di equivoci, il “collo” che appare nella fotografia è il mio.