di Davide Camera
Nelle foto, la copertina del libro dedicato a Nando Martellini e il logo della trasmissione radiofonica Il pescatore di perle con il conduttore Carlo Albertazzi
L’importanza di un uomo su questa Terra, dopo la “livella” della morte, per dirla alla Totò, la decide la storia. Non i contemporanei, che talvolta la confondono con la cronaca, ma certamente i posteri, almeno decenni dopo. Può fare eccezione Piero Angela, per il semplice motivo che è entrato nella storia della divulgazione scientifica e del giornalismo televisivo ancora in vita. Ebbene: il nome di Nando Martellini, icona della televisione italiana e di un certo stile di fare cronaca sportiva, è divenuto esso stesso storia. Non solo del giornalismo, non solo del racconto sportivo a prescindere dal mezzo utilizzato: è storia del costume, fa parte del racconto del nostro paese. Un nome legato a due partite Italia-Germania: una, la finale dei mondiali del 1982, divenuta iconica per le immagini del presidente Pertini che in tribuna faceva il tifoso azzurro, ma anche per il triplice “Campioni del Mondo” che Martellini disse in telecronaca al fischio finale, l’altra, dodici anni prima, la semifinale del 1970, era la partita del “cuore” di Nando perché ne aveva consacrato, così difficile e piena di colpi di scena, il ruolo come narratore delle partite degli azzurri.
Esiste una trasmissione radiofonica di grande spessore, in onda su Rai Radio1, intitolata Il pescatore di perle, dove settimanalmente Carlo Albertazzi il sabato alle 23.30 propone un argomento, in genere legato alla storia dell’Italia, a un fenomeno di un costume, a una vicenda politica importante, alla presenza di due ospiti, esperti che aiutano a comprenderla meglio.
Nel numero più recente, Carlo ha parlato di un libro dedicato a Nando Martellini, “Al limite del ricordare”, che ne raccoglie una serie di scritti significativi dal 1959 al 1997, spesso per il Radiocorriere TV. Il volume è curato dal documentatore televisivo Rai Pino Frisoli e dall’esperto di storia del piccolo schermo Cesare Borrometi. Ma anche parlando di un libro, una trasmissione radiofonica con più ospiti fatta bene, diventa essa stessa un evento al di là del tema. Ospiti di Albertazzi erano i due curatori del volume e Simonetta Martellini, figlia di Nando ma a sua volta nota giornalista radiotelevisiva che soprattutto alla radio ha raccontato la pallavolo, oltre a condurre l’appuntamento serale Zona Cesarini.
Il libro è di per sé un saggio, ma un personaggio come Martellini offre alla radio, che lui conosceva bene essendoci nato professionalmente, vari aspetti interessanti: quello familiare, raccontato brillantemente da Simonetta con una serie di curiosità, quello prettamente giornalistico legato al piccolo schermo, e qui Frisoli ha competenza e capacità di declinarne aspetti e meriti, quello più curioso e goliardico a telecamere e microfoni spenti, che Borrometi racconta divertito.
Perché una trasmissione radiofonica di questo tipo funziona, al di là della bravura di Carlo Albertazzi anche nella scelta dei temi da trattare, e della vivacità in questo caso degli ospiti? Funziona perché la storia in questo caso è sempre attualità, anche se Nando Martellini è ormai scomparso 19 anni fa e le generazioni più giovani al massimo si sono appassionate agli azzurri con il racconto classico di Bruno Pizzul o di Marco Civoli, o al limite quello più guascone di Fabio Caressa. Eppure la grande rivelazione è che Martellini è vivo. Nel senso che è come se lo fosse, è tra noi con le sue registrazioni, i suoi scritti, il racconto di chi gli ha voluto bene o di chi ha avuto modo anche marginalmente di collaborare con lui, come il sottoscritto. Essere vivi dopo la morte è un privilegio di pochi: grandi artisti, musicisti, pittori, scultori, architetti. Può esserlo – e lo è – anche un telecronista che ha legato a vicende indelebili la sua splendida voce, la sua semplicità di racconto che ovviamente è un pregio assoluto per chi lavora con il microfono, la sua capacità di affiancare l’avvenimento senza sovrapporsi ma diventandone in qualche modo parte attiva. E un pezzo della memoria nostra, che lo abbiamo vissuto, ma che evidentemente è stata tramandata anche ai posteri.
Sentire Simonetta raccontare in trasmissione che dopo le radiocronache telefonava al padre che le diceva che cosa era andato bene e che cosa no, senza ovviamente farle sconti, mi ha fatto pensare a quanto noi appassionati del mestiere, di ogni generazione, ma soprattutto “figli del nostro lavoro sul campo” non facciamo sconti neppure a noi stessi. Passano i decenni, forse anche i secoli, ma ci tramandiamo delle “regole non scritte”, composte da fondamentali, esperienze di vita, e impastate con il talento di chi cerca di metterle in atto. Ed è anche questo che ci fa sentire Nando Martellini vivo e vicino.
Davide Camera